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Gatto che giochi per strada (Fernando Pessoa)
Gatto che giochi per strada
come se fosse il tuo letto
invidio questa tua sorte
che nemmeno sorte si chiama.
Buon servo di leggi fatali
che governano pietre e persone,
possiedi istinti comuni
e senti solo ciò che senti.
Sei felice perché sei così,
tutto il nulla che sei è tuo.
Io mi vedo e non mi ho,
mi conosco e non son io.
Monto sui rostri, e l’oratorio ardire
Nel fervido mio cuor parmi sentire.
Ecco del Can comincio a ragionare,
E del Gatto la causa a perorare.
Ciascun di lor si lagna perchè mai
Possono entrare, senz’aver de guai.
Ognun di calci, e pugni il don gli fa,
E il Gatto, ed il Cagnuol via se ne va.
Orsù dunque ascoltatemi, e vedrete,
Se di trattarli mal ragione avete.
Affin che il conosciate tutti quanti
La più forte ragione io metto avanti.
Se Ciro non aveva e Gatti, e Cani
Come poteva vincer gli Egiziani?
Questi fur quei, che scaccomatto diero
De gli Egizj al valore ardito, e fiero;
E fecer meglio a l’armi Persiane
Di quel che fecer poi l’oche Romane.
Io faccio un sillogismo, e ben vedrete,
Che certo voi non ci resisterete.
— L’oche son grandi — è questa la maggiore;
— I Gatti s’acquistar lo stesso onore
— Dunque; se di concluder mi è permesso;
Son grandi i Gatti — rispondete adesso.
— Nego minorem — subito rispondo,
E vorrei, che sentisse tutto il mondo.
Ma… qui si tratta di Filosofia,
E si deve trattar di Poesìa.
Orsù lasciamo andare i sillogismi,
E i — nego, e probo — e i Logici sofismi.
Lasciamo andare; ma vi prego poi,
Ch’abbiano luogo i Gatti fra di voi;
Che i Cagnuoli oramai sien consolati,
E che i Gatti non più sian disprezzati.
Onde poi debban dirmi “grazie tante”
E scuoter coda, e saltellarmi innante.
Giacomo Leopardi, Puerili, 1810
Gli animali furono imperfetti,
lunghi di coda,
plumbei di testa.
Piano piano si misero in ordine,
divennero paesaggio,
acquistarono nèi, grazia, volo.
Il gatto,
soltanto il gatto
apparve completo
e orgoglioso: nacque completamente rifinito,
cammina solo e sa quello che vuole.
L’uomo vuol essere pesce e uccello,
il serpente vorrebbe avere le ali,
il cane è un leone spaesato,
l’ingegnere vuol essere poeta,
la mosca studia per rondine,
il poeta cerca di imitare la mosca,
ma il gatto
vuole essere solo gatto
ed ogni gatto è gatto
dai baffi alla coda,
dal fiuto al topo vivo,
dalla notte fino ai suoi occhi d’oro.
Non c’è unità
come la sua,
non hanno
la luna o il fiore
una tale coesione:
è una sola cosa
come il sole o il topazio,
e l’elastica linea del suo corpo,
salda e sottile, è come
la linea della prua di una nave.
I suoi occhi gialli
hanno lasciato una sola fessura
per gettarvi le monete della notte.
Oh piccolo
imperatore senz’orbe,
conquistatore senza patria,
minima tigre da salotto,
nuziale sultano del cielo
delle tegole erotiche,
il vento dell’amore
all’aria aperta
reclami
quando passi
e posi
quattro piedi delicati
sul suolo,
fiutando,
diffidando
di ogni cosa terrestre,
perché tutto è immondo
per l’immacolato piede del gatto.
Oh fiera indipendente della casa,
arrogante vestigio della notte,
neghittoso, ginnastico
ed estraneo,
profondissimo gatto,
poliziotto segreto
delle stanze,
insegna
di un irreperibile velluto,
probabilmente non c’è enigma
nel tuo contegno,
forse sei mistero,
tutti sanno di te ed appartieni
all’abitante meno misterioso,
forse tutti si credono padroni,
proprietari, parenti
di gatti, compagni, colleghi,
discepoli o amici
del proprio gatto.
Io no.
Io non sono d’accordo.
Io non conosco il gatto.
So tutto, la vita e il suo arcipelago,
il mare e la città incalcolabile,
la botanica,
il gineceo coi suoi peccati,
il per e il meno della matematica,
gl’imbuti vulcanici del mondo,
il guscio irreale del coccodrillo,
la bontà ignorata del pompiere,
l’atavismo azzurro del sacerdote,
ma non riesco a decifrare il gatto.
Sul suo distacco la ragione slitta,
numeri d’oro stanno nei suoi occhi.
Pablo Neruda